Definizioni e ipotesi sui Disturbi Specifici di Apprendimento DSA

Inclusione e neurodiversità – 1

Le basi neurobiologiche dei disturbi di apprendimento sono universalmente riconosciute*; gli studiosi sono concordi anche sulle modalità di trasmissione dei disturbi, che sarebbero prevalentemente di origine genetica, ma non sono ancora riusciti a stabilire esattamente quali sedi o quali funzioni siano responsabili dei disturbi.

Gli studi condotti finora hanno rilevato elementi di atipicità nel cervello di soggetti dislessici a livello di corteccia cerebrale.
Di norma l’emisfero sinistro è più grande di quello destro; tale asimmetria non si riscontrerebbe nel cervello di un soggetto dislessico, nel quale invece i due emisferi sono perfettamente simmetrici oppure il destro è di dimensioni maggiori rispetto all’emisfero sinistro. Inoltre, nei soggetti dislessici sono state riscontrate ectopie nella struttura corticale delle aree peri-silvane della corteccia temporo-parietale dell’emisfero sinistro, nel quale risiedono le aree deputate all’elaborazione linguistica.

Altre ricerche hanno condotto all’ipotesi che le difficoltà del soggetto dislessico possano scaturire da un deficit di elaborazione del segnale visivo o uditivo. Entrambi sono trasmessi attraverso due percorsi: il percorso magnocellulare che presiede alla trasmissione rapida delle informazioni, che nei soggetti dislessici non sono processate con la necessaria rapidità, e quello parvocellulare, deputato all’elaborazione dei dettagli. Il deficit provocherebbe una sorta di sovrapposizione degli stimoli visivi/uditivi o comunque la difficoltà a mantenere le sequenze in modo corretto.

Infine, recentemente si è scoperto che il cervelletto ha un ruolo nel processamento linguistico, mentre in passato si riteneva fosse implicato solo nell’apprendimento e nella coordinazione delle abilità motorie. Il cervelletto sarebbe coinvolto nella produzione orale e nella lettura e sarebbe la sede principale che consente l’automatizzazione di abilità motorie e linguistico-cognitive, e i dislessici presentano sintomatologie che evidenziano differenze nei movimenti oculari durante la lettura e problemi di motricità fine, come ad esempio allacciarsi le scarpe.

Si ritiene che la definizione Disturbi Specifici dell’Apprendimento sia un contenitore in cui si raccolgono problematiche differenti. Il termine disturbo evidenzia che i traguardi formativi, ritenuti essenziali nel percorso di apprendimento scolastico, non sono stati raggiunti e il termine specifico indica che il disturbo interessa un determinato dominio di abilità, «in modo significativo ma circoscritto, lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale»**.

Il criterio della discrepanza, introdotto da Critchley nel 1968 è fondamentale per comprendere i DSA ed è ancora il criterio adottato per formulare una diagnosi e distinguere temporanee difficoltà dai disturbi di apprendimento. «I disturbi specifici della letto-scrittura si manifestano in presenza di tre condizioni concomitanti:
a. i risultati ottenuti dallo studente nelle prove standardizzate che riguardano la lettura, calcolo e/o scrittura sono significativamente inferiori alle aspettative, considerando l’età, il grado di istruzione e il livello intellettivo dell’allievo;
b. non sono presenti menomazioni fisiche (uditive o visive), si esclude quindi che la prestazione inadeguata sia causata da ostacoli fisici;
c. non è presente alcun ritardo cognitivo, per cui il quoziente intellettivo dell’allievo risulta perlomeno nella media; si esclude così che la bassa prestazione sia causata da una più generale difficoltà nello sviluppo mentale»***.

I soggetti con DSA hanno un’intelligenza pari o superiore alla norma, ma sono al di sotto della norma per le prestazioni che riguardano la lettura, la scrittura e/o il calcolo****, si discostano in queste prestazioni, per correttezza e/o velocità di almeno due deviazioni standard sotto la media della popolazione normodotata. Per quanto esposti a stimoli e sottoposti ad allenamento non raggiungono i livelli attesi per la classe d’età di riferimento; i processi di lettura o calcolo non diventano automatici.
È utile ricordare i punti di forza che generalmente si riscontrano nei soggetti che presentano DSA: «intelligenza; capacità di memorizzare per immagini; approccio inusuale e diverso alla materie scolastiche; capacità di fare collegamenti non convenzionali; creatività e capacità di produrre facilmente nuove idee; propensione alla selezione di argomenti in una discussione; abilità nelle soluzioni dei problemi che richiedono di immaginare soluzioni possibili»*****.

I disturbi, che diventano disabilità in una società legata alla letto-scrittura come la nostra, non si manifesterebbero, ad esempio, in una società di cultura orale. Quindi si può sostenere che il paradigma abilità/disabilità non sia universale, ma culturalmente determinato, che sia il contesto sociale e culturale di appartenenza, in particolare il contesto scolastico, a rendere la neurodiversità dei soggetti con DSA una disabilità.
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*Stella G., La dislessia, il Mulino, Bologna, 2004, p. 36.
**Cornoldi C., Zaccaria S., In classe ho un bambino che … L’insegnante di fronte ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento, Giunti, Firenze, 2011, p. 41.
***Daloiso M., Lingue straniere e dislessia evolutiva. Teoria e metodologia per una glottodidattica accessibile, Novara, De Agostini Scuola, 2012, p. 33.
****Stella G. Grandi L., Come leggere la dislessia e i DSA. Conoscere per intervenire, Firenze, Giunti, 2011, pp. 11-12.
*****Ivi, p.13.

La scuola è aperta a tutti *

La speciale normalità e la scuola dell’inclusione

senza distinzione di lingua
Del resto bisognerebbe intendersi su cosa sia lingua corretta. Le lingue le creano i poveri e poi seguitano a rinnovarle all’infinito. I ricchi le cristallizzano per poter sfottere chi non parla come loro. O per bocciarlo.
Voi dite che Pierino del dottore scrive bene. Per forza, parla come voi. Appartiene alla ditta.
E invece la lingua che parla e scrive Gianni è quella del suo babbo. Quando Gianni era piccino chiamava la radio lalla. E il suo babbo serio. «Non si dice lalla, si dice aradio».
Ora, se è possibile, è bene che Gianni impari a dire anche radio. La vostra lingua potrebbe fargli comodo. Ma intanto non potete cacciarlo dalla scuola.
«Tutti i cittadini sono uguali senza distinzione di lingua». L’ha detto la Costituzione pensando a lui.

da Scuola di Barbiana – Lettera a una professoressa, Firenze, 1967, p. 11.

Il diritto all’istruzione si fonda sulla capacità dei sistemi scolastici di essere accessibili e inclusivi. Secondo il dettato costituzionale la scuola è aperta, a tutti.

La Dichiarazione di Salamanca del 1994 che accoglie il concetto di bisogni educativi speciali** e il principio dell’educazione inclusiva, la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dall’Italia con la Legge n. 18 del 3 marzo 2009, riconoscono che la disabilità è «un concetto in evoluzione e che la disabilità è il risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali ed ambientali, che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri»***.

L’intenzione della Dichiarazione e della Convenzione ONU, che mantengono la classificazione di disabilità e bisogni educativi speciali, nei quali ai sensi della Direttiva del 27/12/2012 rientrano i Disturbi Specifici di Apprendimento, vuole essere quella di spostare il concetto di disabilità o disturbo da chi ne è portatore all’ambiente in cui vive.

Nel rapporto tra individuo e contesto, il compito dell’istituzione scolastica sarebbe rimuovere le barriere fisiche e comportamentali che impediscono agli alunni, disabili e non, di raggiungere il successo formativo. Per essere inclusiva, la scuola dovrebbe mettere le differenze al centro dell’azione educativa, eliminare gli ostacoli all’apprendimento che il contesto impone a soggetti che sono diversi per cultura, educazione, situazione socio-economica, fisica e psichica.
«Se l’ambiente è ostile anche le disabilità lievi verranno messe in evidenza, se l’ambiente è favorevole, allora le disabilità lievi avranno un’espressività così bassa da scomparire»****.

Se vuole essere inclusiva la scuola dovrebbe accogliere gli elementi che possono perturbare il suo sistema e rinunciare a normalizzarli o assimilarli. Non dovrebbe continuare ad avere come parametro di riferimento il Pierino figlio del dottore di Don Milani ma lasciarsi alterare dalle diversità, farle proprie, considerarle la risorsa che dà senso alla sua stessa esistenza.

*dall’Articolo 34 della Costituzione
** Definizione ripresa dal Rapporto Warnock del 1978. I Bisogni Educativi Speciali (BES) sono introdotti in Italia dalla Direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012 Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica
*** Preambolo della Convenzione ONU, lettera (e).
**** Stella G., La dislessia, il Mulino, Bologna, 2004, p. 54.